Lo scorso 8 maggio il Tribunale di Milano ha avviato un tavolo di lavoro per discutere sulle iniziative da intraprendere per prevenire il caporalato nella moda, con l’obiettivo di varare un protocollo entro fine luglio.
Contesto
Negli scorsi mesi tre principali aziende di moda italiane (Alviero Martini, Dior e Armani) sono state soggette alla misura preventiva dell’amministrazione giudiziaria dopo che la Pro procura della Repubblica cura ha rilevato fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo.
Per le tre società sotto i riflettori il caporalato è stato rilevato principalmente nella filiera dei subappalti.
In particolare si è rilevato che, secondo uno schema ricorrente, le case di moda commissionavano la creazione di un prodotto a società apparentemente “in regola”, che successivamente esternalizzavano le commesse a terze società, che al fine di abbattere i costi impiegavano manodopera irregolare e in condizioni di sfruttamento.
In questo contesto è emersa l’iniziativa del Tribunale di Milano tesa a fornire alle società committenti strumenti e linee guida per monitorare e controllare la propria filiera produttiva, prevenendo così l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Il protocollo per prevenire il caporalato nel settore della moda
Il protocollo mira a identificare gli indicatori e i profili di rischio delle aziende, al fine di consentire alle società committenti di individuare situazioni di sfruttamento della manodopera lungo le catene di approvvigionamento e di agevolare la selezione di appaltatori o sub-appaltatori secondo criteri di sostenibilità e responsabilità.
Il documento è stato elaborato da un team di esperti e, una volta ottenuto il via libera della prefettura, si terrà una riunione conclusiva per l’approvazione finale dello stesso, prevista entro la fine del mese di luglio. Una volta che il protocollo sarà stato approvato, verrà presentato anche alle associazioni della moda, all’ispettorato del lavoro e alla procura della Repubblica.
La black list
In parallelo è in corso di predisposizione anche un database regionale che includerà una “black list” di aziende che, sulla base dell’esperienza giudiziaria, sono considerate a rischio di sfruttamento della manodopera. Questo strumento mira a segnalare le aziende che operano in condizioni non conformi, offrendo alle imprese un riferimento per evitare collaborazioni con soggetti non affidabili e contribuendo così a promuovere prassi lavorative etiche e sostenibili.