Negli ultimi giorni il dibattito sulla titolarità e sull’utilizzo delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia è tornato al centro dell’attenzione pubblica, anche a seguito di un emendamento alla Manovra volto a qualificare formalmente l’oro come “proprietà dello Stato”.
Si tratta di un tema solo apparentemente lineare. Le riserve auree costituiscono già un bene pubblico, ma la loro gestione è disciplinata da un quadro normativo complesso, che coinvolge il diritto dell’Unione europea, lo Statuto della Banca d’Italia e il divieto di finanziamento monetario delle finanze pubbliche. Qualsiasi intervento volto a modificare l’attuale equilibrio potrebbe determinare rilevanti implicazioni tecniche, finanziarie e istituzionali, incidendo sui rapporti tra Governo, Banca d’Italia e istituzioni europee.
Affaritaliani.it ha dedicato un approfondimento a questo tema insieme ai professionisti del Team di Diritto Amministrativo di LEXIA, Marco Luigi Di Tolle e Marta Scandroglio, che hanno analizzato:
- i limiti giuridici all’utilizzo dell’oro detenuto dalla Banca d’Italia per finalità di riduzione del debito pubblico o di copertura della spesa;
- il ruolo dell’Eurosistema nella gestione delle riserve e i vincoli derivanti dalla disciplina europea;
- le ragioni della distribuzione dell’oro italiano in caveau situati anche all’estero;
- i possibili profili di frizione istituzionale in caso di interventi normativi volti a trasferire poteri gestionali dal livello dell’Eurosistema al Governo.
Quali margini ha lo Stato nell’utilizzo dell’oro di Bankitalia? Quali sono i vincoli europei effettivamente operanti? E quali potrebbero essere le conseguenze di una modifica dell’assetto attuale?
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