Il diritto dello spazio tra codificazione internazionale e nuove sfide regolatorie

Contenuti

In un contesto caratterizzato dalla crescente presenza di operatori privati e da tensioni regolatorie tra Stati, il diritto dello spazio si confronta con l’esigenza di aggiornare il proprio impianto normativo, ancora ancorato ai principi multilaterali risalenti agli Anni ’60 e ‘70.
Questo contributo offre una panoramica sistematica del quadro giuridico internazionale vigente, evidenziando le principali criticità e prospettive di riforma.

Introduzione generale e inquadramento normativo

Sebbene le attività spaziali abbiano assunto, negli ultimi decenni, una rilevanza crescente sia sotto il profilo tecnologico che sotto quello economico, il relativo quadro normativo resta, ad oggi, fortemente ancorato a principi e convenzioni internazionali elaborati in un contesto storico e geopolitico radicalmente diverso da quello attuale. Il corpus normativo fondamentale che disciplina l’esplorazione e l’utilizzazione dello spazio extra-atmosferico – comunemente identificato con l’espressione “diritto dello spazio” – trova il proprio fondamento primario nei cinque trattati multilaterali elaborati sotto l’egida delle Nazioni Unite tra il 1967 e il 1979, il primo e più rilevante dei quali è senz’altro il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967 (Outer Space Treaty, “OST”)[1].

Tale trattato – ratificato da oltre 110 Stati, tra cui l’Italia – enuncia una serie di principi generali destinati a governare l’attività degli Stati nello spazio, tra i quali spiccano il divieto di appropriazione nazionale della Luna e degli altri corpi celesti (art. II OST), l’obbligo di impiegare lo spazio esclusivamente per fini pacifici (art. IV), la responsabilità internazionale per le attività spaziali condotte sia da soggetti pubblici che privati (art. VI), e il principio di cooperazione e mutua assistenza tra gli Stati (art. IX). Sebbene all’epoca della loro formulazione tali enunciati abbiano indubbiamente rappresentato un passo fondamentale nella costruzione di un regime giuridico multilaterale dello spazio, la loro portata applicativa risulta oggi messa alla prova dal coinvolgimento di attori privati transnazionali, dallo sfruttamento commerciale delle risorse extraterrestri e dalla crescente militarizzazione delle orbite terrestri.

In tale contesto, la normativa internazionale (hard law) viene spesso affiancata – o talvolta sostituita – da strumenti di soft law elaborati dall’Office for Outer Space Affairs (“UNOOSA”)[2], nonché da linee guida non vincolanti adottate dal Committee on the Peaceful Uses of Outer Space (“COPUOS”), che tuttavia non sempre riescono a colmare le lacune interpretative emerse con riferimento, ad esempio, al concetto di uso pacifico, alla definizione di oggetto spaziale o ai criteri di ripartizione della responsabilità per danni.

Soggetti, responsabilità e controllo giurisdizionale nel diritto dello spazio

Un ulteriore aspetto di centrale rilievo nell’architettura del diritto dello spazio concerne la distribuzione delle responsabilità tra gli Stati e la definizione delle competenze giurisdizionali sui cosiddetti “oggetti spaziali”. Il Trattato sullo spazio extra-atmosferico afferma, infatti, che gli Stati sono internazionalmente responsabili per le attività spaziali condotte sia direttamente, attraverso agenzie governative, sia indirettamente, per il tramite di soggetti privati autorizzati a operare sotto la loro giurisdizione (art. VI OST): si tratta di un’impostazione fondata su un principio di responsabilità “derivata”, secondo il quale l’autorizzazione e il controllo continuo degli attori non-statali non è soltanto un onere procedurale, ma altresì un obbligo giuridico sostanziale a carico dello Stato di registrazione o di lancio della missione spaziale.

A ciò si aggiunge la previsione, contenuta nell’art. VII OST, secondo cui lo Stato responsabile risponde dei danni cagionati da un proprio oggetto spaziale ad un altro Stato Parte, alle persone (fisiche o giuridiche), o ai loro beni, sia sulla superficie terrestre sia nello spazio extra-atmosferico. Tale previsione è stata ulteriormente articolata nella Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali del 1972 (Liability Convention)[3], la quale introduce un sistema di responsabilità oggettiva per i danni subiti sulla superficie terrestre o da aeromobili in volo, e un regime di responsabilità per colpa per i danni intercorsi nello spazio.

Un punto particolarmente delicato riguarda, inoltre, l’attribuzione della giurisdizione e del controllo sugli oggetti spaziali, che – ai sensi dell’art. VIII OST – rimangono di competenza dello Stato che ha proceduto alla registrazione del veicolo spaziale presso l’apposito registro nazionale e presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Tale principio, se da un lato consente la conservazione della sovranità statale su beni tecnologici situati in un contesto extraterritoriale, dall’altro solleva complessi problemi interpretativi in caso di oggetti lanciati congiuntamente da più Stati, di frammentazione post-esplosione, o di decadenza delle strutture orbitali. In assenza di una corte spaziale o di un meccanismo arbitrale istituzionalizzato, tali controversie vengono – per quanto possibile – affrontate mediante strumenti diplomatici o attraverso le procedure ad hoc previste dalle convenzioni ONU[4].

Il regime giuridico dei corpi celesti: tra non appropriazione e patrimonio comune dell’umanità

Il principio di non appropriazione, sancito dall’articolo II OST, costituisce uno dei pilastri fondamentali del diritto internazionale dello spazio. Tale disposizione stabilisce che lo spazio extra-atmosferico, inclusi la Luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione nazionale mediante rivendicazioni di sovranità, uso, occupazione o qualsiasi altro mezzo: con questo principio si mira a preservare lo spazio come una provincia di tutta l’umanità, destinata all’uso pacifico e al beneficio comune di tutti i Paesi.

Tuttavia, l’interpretazione e l’applicazione pratica di questo principio hanno sollevato dibattiti, specialmente con l’emergere di attività spaziali private e l’interesse crescente per lo sfruttamento delle risorse extraterrestri. A tal proposito, l’Accordo sulla Luna del 1979 (“Moon Agreement) ha cercato di approfondire e chiarire il regime giuridico applicabile alla Luna e agli altri corpi celesti: l’articolo 11 di questo accordo afferma che la Luna e le sue risorse naturali sono patrimonio comune dell’umanità e che dovrebbe essere istituito un regime internazionale per governare lo sfruttamento di tali risorse .

L’intento del Moon Agreement di fornire un quadro normativo più dettagliato si è tuttavoa scontrato con una scarsa adesione internazionale; basti pensare che le principali potenze spaziali, tra cui Stati Uniti, Russia e Cina, non hanno ratificato l’accordo, limitandone così efficacia e applicabilità.

Contestualmente, alcuni Stati hanno cercato di regolamentare lo sfruttamento delle risorse spaziali attraverso legislazioni nazionali. Ne è un esempio lo U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act (promulgato dagli Stati uniti nel 2015[5]) che riconosce il diritto dei cittadini statunitensi di possedere risorse ottenute da corpi celesti, pur senza rivendicare sovranità su tali corpi . Similmente, il Lussemburgo ha adottato la legge del 20 luglio 2017[6] sull’esplorazione e l’utilizzazione delle risorse dello spazio, che consente esplicitamente alle imprese private di detenere diritti sulle risorse spaziali estratte (art. 1(1)), sancendo che tali risorse “sono suscettibili di appropriazione”, sebbene nel rispetto del diritto internazionale applicabile. Si tratta evidentemente di iniziative che sollevano preoccupazioni circa la compatibilità con il principio di non appropriazione e il rischio di una corsa alle risorse spaziali non regolamentata.

Per bilanciare l’interesse per lo sfruttamento delle risorse spaziali con la necessità di preservare lo spazio come patrimonio comune dell’umanità, da più parti[7] si propone l’adozione di un regime internazionale ispirato alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), con la creazione di un’autorità internazionale incaricata di regolare lo sfruttamento delle risorse spaziali, garantendo una distribuzione equa dei benefici e la sostenibilità delle attività, analogamente a quanto avviene per i fondali marini.

Attori privati e attività commerciali nello spazio

Il progressivo ingresso di soggetti privati (SpaceX e Blue Origin, solo per citarne alcuni) nel settore spaziale – fenomeno ormai strutturale e destinato ad amplificarsi ulteriormente con l’espansione della cosiddetta new space economy – pone una serie di questioni complesse e tuttora irrisolte sul piano della regolamentazione giuridica. Se infatti l’OST riconosce formalmente, all’art. VI, la possibilità per soggetti non governativi di svolgere attività spaziali, subordina nondimeno tale possibilità a un duplice requisito: l’autorizzazione preventiva e il controllo continuo da parte dello Stato Parte competente. Ne discende che ogni attività spaziale di matrice privata è, sotto il profilo del diritto internazionale, imputabile allo Stato nazionale, che risponde in via primaria delle eventuali violazioni o danni prodotti da tali operatori.

Tuttavia, la crescente articolazione delle operazioni spaziali – spesso condotte da consorzi transnazionali, attraverso vettori e payload registrati in Stati diversi o localizzati in orbite non geostazionarie – ha messo in discussione la capacità dei singoli ordinamenti di esercitare un controllo effettivo e coordinato. Ciò ha favorito, da un lato, l’adozione di normative domestiche più permissive, tese ad attrarre investimenti e sedi operative; dall’altro, il consolidarsi di prassi divergenti tra Stati, con evidenti ricadute sul piano dell’equità e della certezza del diritto. Emblematico, in tal senso, è il già menzionato Commercial Space Launch Competitiveness Act adottato dagli Stati Uniti, che, pur ribadendo formalmente il rispetto del principio di non appropriazione, conferisce a cittadini e imprese statunitensi il diritto di possedere, utilizzare e trasferire risorse ottenute da corpi celesti.

Tali iniziative sollevano interrogativi fondamentali in merito alla compatibilità tra norme nazionali e obblighi internazionali, specialmente quando queste ultime si fondano su interpretazioni estensive (se non elusorie) delle disposizioni convenzionali. Il rischio evidente è quello di una “balcanizzazione normativa” dello spazio, in cui gli Stati competono nella concessione di regimi regolatori più favorevoli, compromettendo l’uniformità e l’effettività dei principi sanciti a livello multilaterale. In assenza di una normativa internazionale aggiornata, dotata di meccanismi di enforcement vincolanti e universalmente accettati, resta centrale il ruolo della soft law (Linee guida UNCOPUOS, raccomandazioni UNOOSA, standard ISO) e della cooperazione interstatale per la definizione di best practices e meccanismi condivisi di autorizzazione, vigilanza e responsabilità. In prospettiva, si rende quanto mai urgente l’elaborazione di un quadro regolatorio sovranazionale che, pur rispettando le prerogative statali, garantisca un livello minimo di armonizzazione e di compliance giuridica per le attività spaziali private, al fine di preservare la sostenibilità a lungo termine dello spazio e di evitare che esso si trasformi in un nuovo spazio di frizione geopolitica e deregolamentazione normativa.


[1] Trattato sullo spazio extra-atmosferico (OST), adottato il 27 gennaio 1967, entrato in vigore il 10 ottobre 1967. Testo disponibile qui: https://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/spacelaw/treaties/introouterspacetreaty.html

[2] Office for Outer Space Affairs (UNOOSA) – documenti e risoluzioni COPUOS disponibili qui: https://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/copuos/index.html

[3] Convention on International Liability for Damage Caused by Space Objects, adottata il 29 marzo 1972, in vigore dal 1° settembre 1972. Testo disponibile qui: https://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/spacelaw/treaties/liability-convention.html

[4] Si tratta in particolare, da un lato, della possibilità di attivare la Claims Commission prevista dalla Convenzione sulla responsabilità del 1972, la quale consente la composizione non vincolante di controversie in caso di danni transfrontalieri causati da oggetti spaziali, e, dall’altro, delle consultazioni internazionali obbligatorie previste dall’art. IX OST.

[5] U.S. Commercial Space Launch Competitiveness Act, Pub. L. 114–90, 25 novembre 2015. Testo disponibile qui: https://www.congress.gov/114/plaws/publ90/PLAW-114publ90.pdf

[6] Legge lussemburghese del 20 luglio 2017 sull’esplorazione e l’utilizzazione delle risorse dello spazio, consultabile qui: https://legilux.public.lu/eli/etat/leg/loi/2017/07/20/a674/jo

[7] Si veda, inter alia: Yannick Radi, Space Mining in Practice: An International Space Law Perspective on Upcoming Challenges, European Society of International Law (ESIL), 2024, disponibile su: https://esil-sedi.eu/esil-reflection-space-mining-in-practice-an-international-space-law-perspective-on-upcoming-challenges; P. Stubbe, Developing a Global Order for Space Resources – A Regime Evolution Approach, Georgetown Journal of International Law, Vol. 51 (2020), pp. 315–364, disponibile su: https://www.law.georgetown.edu/international-law-journal/wp-content/uploads/sites/21/2021/03/DEVELOPING-A-GLOBAL-ORDER-FOR-SPACE-RESOURCES-A-REGIME-EVOLUTION-APPROACH.pdf; UNOOSA – Working Group on Legal Aspects of Space Resource Activities, Reports and State Submissions, Committee on the Peaceful Uses of Outer Space, Legal Subcommittee, disponibile su: https://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/copuos/lsc/space-resources/index.html.

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